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venerdì 3 agosto 2012

Che rebalton

Ho un'immagine vivida nella mente.
Quella della bara, portata a mano da alcuni ragazzi del paese vagamente conosciuti e da mio cugino che discende il piccolo pendio piastrellato che conduce al cimitero. Nessuno ha chiesto loro alcunché: alla fine della cerimonia si sono semplicemente messi ai lati del feretro e hanno fatto quello che c'era da fare. Qualcun altro ha preso i candelabri.
Davanti camminano i due sacerdoti che hanno officiato la cerimonia. Le loro tonache bianche e viola svolazzano nel vento. I chierichetti vestiti di bianco e rosso li seguono. Somigliano a piccole farfalle.



Lo sfondo è inondato dal sole. Si avvicina sempre più alle montagne, che si ergono in tutta la loro bellezza e imponenza. Il fondo della Paganella è blu. Sotto si apre un oceano di verde: le vigne e i meli sono al culmine del loro splendore. Carichi di promesse per l'autunno che arriverà fin troppo in fretta.
Spira una brezza leggera che scompiglia i fiori del cuscino sulla bara: rose rosse, fresie bianchissime e tanto verde.
E poi momenti. Tutto è stato così lento eppure così veloce.
La chiesa gremita di gente, anche in piedi. Accalcata sul fondo. La porta semiaperta per lasciar entrare il sole. La lettura della prima lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi. Il coro. La predica e la commozione del sacerdote, che le aveva dato l'estrema unzione. Un commento su tutti: "L'è stada 'na bona dona" (=è stata una donna buona).
Piccole manciate di terra scagliate dai miei zii sulla bara. ZioOrso che toglie il velo che la ricopriva e le pone un bacio sulla fronte; il suo dolore è grande ma composto, rassegnato. ZioPreciso che stringe mani e distoglie lo sguardo, incapace di dire una parola e sopraffatto dall'emozione. I suoi occhi sono pieni di lacrime e dicono tutto quello che avrebbe voluto fare ma non è riuscito. A dire, a fare. Mamma è persa, vicina a mio padre, eppure padrona di sé, presente, efficiente. Sua sorella smarrita, non ha meta. Vaga da una parte all'altra, da un gruppetto di persone all'altro...
Tantissime persone hanno sfilato vicino alla bara e vi hanno posto una carezza. Tocchi lievi, quasi riverenti. Pieni di delicatezza eppure di calore. Di partecipazione.
Abbracci. Conforto. Mani tese. Sguardi commossi.
E poi la normalità.
Piano piano la folla si disperde. Rimane uno sparuto manipolo nel cimitero. Siamo la sua famiglia e coloro che ci sono stati più vicini. Il nostro dolore è il loro.
Mentre risaliamo lenti dal camposanto ci giungono i primi suoni di vita: è tornata la normalità nella case limitrofe dove i rumori dei piatti si confondono con le voci provenienti delle televisioni.
E nella nostra pure.
Si dà da mangiare alle galline. Si accende il fuoco per preparare la cena. Si raccoglie l'insalata che porteremo a casa, in città. Ancora lacrime, ancora sorrisi.
Ora si deve andare avanti, che ci piaccia o meno. Senza di te, eppure sempre nel tuo ricordo e nella tua presenza.
E poi, prima di andare a letto, una considerazione. "Alla nonna nol ghe saria piasest. L'averia dit: che rebalton!" (=Alla nonna non sarebbe piaciuto. Avrebbe detto: che confusione!)
...
Non ci credo, nonna.
Io so che anche tu c'eri e che ti ha fatto piacere quella piccola eppure immensa partecipazione. Che in un paese piccolino come il nostro, è tutto dire. E vale più di mille parole.

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