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martedì 11 settembre 2012

Io, speriamo che me la cavo!

Curiosando qua e là in un momento di pausa dal lavoro (visto che non posso scendere a bere il caffè come hanno fatto The boss e The brother boss e stare via in media dai 45 ai 130 minuti a fare che non si sa bene cosa...)
ho fatto un giro su qualche blog che leggo... E ho letto un articolo pubblicato su "Ma la notte no" (metto il link anche se non sono sicura di aver fatto le cose per bene: http://ma-la-notte-no.blogspot.it/2012/09/post-poco-leggero-nonostante-linsalata.html) sulla difficoltà che incontra una donna nel gestire famiglia e lavoro...
Bhe, non dico nulla di nuovo e non faccio male a nessuno se aggiungo una mia personale opinione sul tema.
Quello che posso dire è che, secondo me, il problema più grosso consiste soprattutto nella difficoltà di avere semplicemente la possibilità di gestire famiglia e lavoro.
Mi spiego meglio e per farlo vi racconto un po' di me.
Non provengo da una famiglia ricca, ma nemmeno da una famiglia che non sapeva come fare ad arrivare a fine mese. Insomma, la solita cosa: papà lavoratore, mamma che si dava da fare come poteva, casa di proprietà, ecc..
Pur avendo fatto studi importanti con una certa rapidità e pur avendo ottenuto un titolo professionale inflazionato ma non certo regalato, soprattutto nella regione in cui vivo, mi sono ritrovata, di fatto, a dover rinunciare all'esercizio di una libera professione nel senso più vero del termine inserendomi in un contesto lavorativo più ampio per esclusiva necessità economica ed al solo fine di poter comunque fare il lavoro per cui ho davvero studiato tanto.
Quando ho deciso di avere un figlio - dopo ben 10 anni di lavoro nel settore (e non avevo ancora spento le mie 35 candeline...) e dopo ben 7 anni di matrimonio - la mia posizione all'interno dello studio in cui lavoro con due uomini è profondamente cambiata. Non solo non facevo più le 9 di sera tutte le sacrosante sere ma nemmeno lavoravo anche di sabato e di domenica, perché si sa che con un neonato è un pelino difficile. Non chiedetemi come facevo con la casa perché non saprei rispondervi con precisione: al di là di un marito e di una mamma collaborativi, ho sempre cercato di arrangiarmi da sola. A volte con scarsi risultati, a volte con risultati migliori. Pur consapevole del fatto che non si può fare tutto: se stai via quattordici ore al giorno, credo che sia del tutto legittimo tornare a casa ed avere solo voglia di infilarti in doccia, mangiare un piatto di spaghetti in bianco omettendo persino di lavare i piatti e caricando la lavastoviglie il mattino successivo...
Dicevo, in studio le cose sono cambiate. E' stato un processo lento, ma inesorabile. Tant'è che appena un paio di mesi fa -ripeto, in un contesto professionale dove lavoro da ben 12 anni e dove non mi è mai stato dato il ruolo (con il relativo emolumento) che mi era stato sempre verbalmente promesso e dove ne ho viste di ogni - mi è stato fatto notare che da quando sono mamma io ci sono di meno. Anche se quel "meno" non è stato esattamente quantificato dal punto di vista professionale... Né peraltro temporale, dato che - solo per fare un esempio - io a differenza dei miei colleghi uomini sono molto presente in ufficio ed anzi capita di essere l'unica ad essere qui....
Certo, da quando sono diventata mamma io non faccio più le nove di sera. E - se non estremamente necessario - non vengo più in studio il sabato e la domenica, preferendo dedicare questi due giorni esclusivamente a mio figlio ed alla mia famiglia...
Però i miei due colleghi uomini - quando mi hanno fatto, come si suol dire e passatemi il francesismo, "il culo" - non hanno considerato che:
-pur avendo il termine per il parto al 23 marzo 2010 ho lavorato fino al 17... addirittura ag-gratis dal momento che non ho visto nemmeno un centesimo per quei diciassette giorni in cui comunque esercitai la professione in loro favore andando e venendo dal centro diabetologico tutti i giorni...
- seppur con un neonato minuscolo fra le mie braccia ho dovuto - letteralmente perché altrimenti l'atto non sarebbe partito e lo studio rischiava una causa per responsabilità professionale - fare una memoria di replica in ospedale dove mio marito mi portò pc, chiavetta e pratica;
- pur rimanendo a casa poco più che due mesi (PP nacque il 22 marzo e io rientrai in studio il 31 maggio) tutte le scadenze, e dico tutte tutte tutte, delle pratiche che seguivo personalmente furono evase dalla sottoscritta che non solo stilò materialmente gli atti ma che li portò personalmente nei vari tribunali o uffici dove andavano depositati.. a volte con microPP nel marsupio, a volte lasciandolo ai nonni e a volte semplicemente casa col papà;
- pur riprendendo a lavorare stabilmente in ufficio (inizialmente solo al mattino per le udienze e rimanendo a casa al pomeriggio) dal 31 maggio 2010 allattavo il mio bambino 8, dicasi otto volte al giorno, e anche se le tette mi esplodevano quando era passato l'orario ho fatto sempre tutto quello che dovevo fare;
- quando ho ripreso a lavorare giornata piena lavoravo giornata piena ed è vero che me ne andavo alle 7 e facevo la "pausa pranzo" ma ho sempre fatto tutto quello che dovevo fare e negli orari "d'ufficio" sono sempre stata dove dovevo essere: o qui o in tribunale.
Sia chiaro: non ho fatto niente di speciale. Come me, tantissime altre colleghe lo hanno fatto e rifatto e rifatto ancora (per queste tutta tutta tutta la mia ammirazione) addirittura senza appoggi (per i motivi più svariati ed i casi, a volte ingiusti, della vita)...  Ma, diciamocelo, un uomo lo farebbe? Un uomo lo avrebbe fatto? Un uomo sarebbe in grado di farlo?
In tutta onestà, se mi volto indietro vedo, con chiarezza, di non aver tolto nulla alla mia professione con la mia maternità. Anzi, semmai l'ho arricchita... In ogni caso il mio lavoro l'ho sempre fatto. Anche di più. Non sono mai venuta meno a una scadenza e non ho chiesto l'aiuto di nessuno. Ho saputo organizzarmi meglio e ottimizzare al massimo il tempo a mia disposizione in ufficio per non avere i cumuli sulla scrivania e i clienti che mi corrono dietro. Quindi... Certo, io ho un fortuna enorme: ho quattro nonni su cui contare e cugini e una zia. Insomma a me nessuno dice quando torni o a che ora arrivi. Se esco dallo studio alle 7 e mezza invece che alle 7 nessuno mi dirà mai nulla e non devo pagare fior di quattrini qualcuno perché mi guardi mio figlio cinque minuti in più...
In tutta onestà, però vi dirò anche che se mi guardo indietro mi chiedo perché cazzo mai prima non abbia posto un limite più netto e definito fra la mia vita professionale e la mia vita privata. Perché, davvero, se a volte c'era bisogno di fare le nove perché era un atto grosso per una pratica importante per un cliente notevole... Bhe, molte volte non c'era necessità: sarebbe stato sufficiente lavorare di più e meglio prima. Anche se a volte non riesci per tantissime ragioni: se stai in udienza tutta mattina invece che un'ora come avevi preventivato e, magari, oltre che romperti le balle stufarti all'inverosimile ti è anche venuto un mal di testa stellare perché ti hanno fatto un'eccezione a sorpresa e hai dovuto discutere, hai voglia quando torni in ufficio a concentrarti su quello che devi fare... Siamo persone, non macchine. 
E' proprio su questo aspetto che faccio la mia chiosa.
Moltissime cose non erano necessarie e le ho fatte lo stesso. Nessuno mi ha fatto una statua e le ho fatto sapendo che nessuno mi avrebbe mai detto non dico grazie ma quanto meno brava... E' forse su questo che si fonda poi un'aspettativa generalizzata che impone alle donne, ad un certo punto, di scegliere fra famiglia o carriera, perché, diciamocelo, a meno di non essere milionarie e nel contempo wonder-woman, quando hai una famiglia non puoi lavorare come prima. Non parlo di qualità del lavoro, parlo di tempistica perché io sono sicura che se una è una brava professionista lo è anche se è mamma. 
Ed è proprio questo l'aspetto che mi ferisce di più, visto anche la mia vicenda personale: perché, se una è brava, è costretta a scegliere?
Dal canto mio - per tanti altri motivi che metterebbero sul piatto altri aspetti di estrema attualità quali la crisi economica che, volenti o nolenti, ci coinvolge tutti - posso solo dire questo: ho ingoiato tantissimi rospi, tantissimi altri ne ingoierò, non so se il mio ruolo qui sarà valorizzato o quanto meno riconosciuto per quello che è, non so se avrò mai uno studio tutto mio e non so se potrò avere la gioia di avere un altro figlio... Però continuerò ad amare la mia professione, a svolgerla con coscienza e con responsabilità sperando di non dover scegliere...
Sapete, no, come si dice? Io, speriamo che me la cavo... E' brutto da dire ma è così. 
Perché, e forse è ancora più brutto, o così o così.

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